“Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio” (Lc 13,29)
Couly è uno splendido ragazzo, faccia rotonda, occhi intelligenti. Ha vent’anni e viene dalla Guinea.
È arrivato nella nostra città il 30 dicembre 2016 assieme ad altri 12 migranti che ha conosciuto soltanto durante il viaggio: il suo viaggio è durato 10 mesi, ma quello di alcuni suoi compagni è durato anche 2 anni o più. Quando lo abbiamo incontrato sembrava un pulcino abbandonato dalla chioccia, aveva lo sguardo perso, e come tutti i suoi compagni, sembrava spaventato.
Couly e gli altri 12 migranti sono stati accolti in un appartamento appositamente predisposto dalla Caritas reggiana presso l’ex canonica della parrocchia del Sacro Cuore. La loro età varia fra i 20 e i 26 anni, soltanto uno di loro ha circa 40 anni. Provengono da diversi paesi dell’Africa: Nigeria, Burkina Faso, Guinea, Gambia, Senegal, Mali.
Appena arrivato, Couly ci aveva colpito perché si isolava: a colazione sceglieva sempre un posto appartato e se gli rivolgevi la parola si sentiva in imbarazzo. Si accaparrava il pane sulla tavola portandolo via ai suoi compagni, che peraltro facevano altrettanto con lui.
Svolti gli iniziali controlli sanitari organizzati dal personale Caritas, Couly con i suoi compagni ha iniziato a frequentare una scuola d’italiano in città e in aggiunta riceve lezioni di italiano a “domicilio” tre volte alla settimana da parte di alcuni volontari. Il livello di istruzione di questi ragazzi è molto differenziato: così mentre Couly (che parla francese e inglese) comincia a capire qualche parola d’italiano, qualcuno dei suoi compagni sta imparando a leggere e scrivere.
Couly, che è una buona forchetta, apprezza molto la cucina di Pino, un volontario che gestisce la cucina e dorme tutte le notti con loro nell’appartamento. I migranti “si arrangiano in cucina”, ma non sanno cucinare, perché nei loro paesi sono le donne a farlo: allora Pino insegna a quelli che sono di turno in cucina come si può preparare un semplice pranzo senza bruciare tutte le volte le pentole e, quando non è in casa, lascia indicazioni per i pasti. Per le faccende domestiche gli ospiti sono organizzati in turni di lavoro: cucina – pulizie di bagni e pavimenti – rifiuti (la raccolta differenziata è una operazione particolarmente complicata per loro e certamente da migliorare col tempo).
Alcuni volontari si occupano del cambio della biancheria della casa e, quando è il momento del cambio delle lenzuola, insegnano a Couly e ai suoi compagni a rivestire il letto, perché non sanno come usare tutte quelle lenzuola, se vanno messe sopra o sotto la coperta.
Quando il volontario di turno entra nelle camere al mattino per la sveglia, trova qualcuno già disteso a pregare sulla sua stuoia. Couly invece no, lui ama dormire, ma una volta tirato giù dal letto anche lui si deve fermare a pregare. Quando pregano, non rispondono a nessuno! C’è chi invece ha disegnato sulla porta della propria camera una croce in modo discreto e ha trovato in città la Chiesa evangelica nella quale va a pregare alla domenica e quando può anche durante la settimana.
Ai migranti sono state proposte alcune attività di volontariato, alle quali partecipano liberamente con l’aiuto e l’accompagnamento dei volontari o del personale Caritas. Così il giardino circostante l’edificio ove sono ospitati ha ripreso un aspetto più ordinato ed una parte del terreno sta diventando un orto, mentre nei nuovi locali dell’UP qualche altissima e inaccessibile ragnatela è stata eliminata da nuovi e agilissimi collaboratori.
Couly gode di piena salute, ma alcuni dei suoi compagni necessitano di cure mediche e le loro necessità sanitarie, raccolte in prima battuta da un volontario, vengono segnalate al personale Caritas perché possano seguire i percorsi sanitari adeguati.
Alcuni parlano inglese, altri il francese, mentre pochi parlano solo un dialetto locale. La convivenza, si sa, non è sempre facile e non stupisce se qualche volta nasce qualche discussione o incomprensione, soprattutto se si hanno lingue e abitudini diverse: in questi casi, Couly e qualche suo compagno si adoperano con autorevolezza e persuasione a ripristinare la pace in casa. Quello che stupisce invece è il clima in genere tranquillo e sereno che si respira nell’appartamento.
È capitato diverse volte che questi ragazzi, ci abbiano invitato a rimanere a cena con loro: “Mangi anche tu con noi?” e ogni volta abbiamo sentito un certo imbarazzo a dire di no, perché sedersi e condividere un pasto alla stessa tavola è un gesto di profondo significato. Perché allora non organizzare una cena insieme, proprio dentro il loro appartamento, seduti, una volta tanto, tutti allo stesso livello, volontari e migranti, per regalarci l’occasione di conoscerci un po’ di più come persone? Così è stata organizzata una cenetta a casa loro, facendo un’unica tavolata nel lungo corridoio dell’appartamento: 8 tavoli, 48 sedie, 3 o 4 lingue, 7 nazioni, 2 continenti, ma tanta volontà di comunicare e di capirsi, sfruttando, mal che vada, il vicino di sedia poliglotta o le mille espressioni facciali conosciute, e sfoderando soprattutto i migliori sorrisi. La cena è iniziata con una preghiera in arabo e con un Padre nostro. Superata una certa apprensione iniziale dei nostri ospiti africani (forse per il cibo sconosciuto? forse per la novità della situazione?) la serata è proseguita serenamente ed il clima è stato davvero ottimo. “Ci avete accolti come padri e madri…” – “Veniamo da Nigeria, Burkina Faso, Gambia, Guinea, Mali, Senegal, ma viviamo qui insieme in pace.” sono due delle frasi che uno dei ragazzi ci ha voluto rivolgere in un discorso spontaneo e che difficilmente dimenticheremo. Alla fine, a sorpresa, torta e candeline e qualche piccolo regalo per i sette festeggiati dei mesi di gennaio e febbraio: erano felicissimi. Couly, saputo di essere tra i festeggiati, si è velocemente eclissato in camera per ritornare dopo pochi minuti vestito in giacca e camicia, elegante (anche se poi aveva le ciabatte!) e raggiante, pronto per le foto di rito.
Couly e i suoi compagni, mentre sono abbastanza disponibili a parlare delle loro famiglie e della loro terra, non amano parlare delle difficoltà sostenute nel loro viaggio. Lui, come molti altri, è stato in carcere per diversi mesi prima di salire sul barcone: lo hanno trattato malissimo, ha sofferto la fame, poi è riuscito a fuggire. Qualcuno è stato picchiato e porta i segni indelebili sulla sua pelle. Qualcuno ha visto morire i suoi compagni. Quando parla dei suoi carcerieri, Couly si fa triste in volto e vuole cambiare rapidamente argomento.
Questo gruppo di migranti non è stato il primo accolto al Sacro Cuore: l’8 novembre scorso, 15 migranti appena sbarcati, sono rimasti con noi circa due mesi. Il personale Caritas, ha avviato per loro il percorso per il riconoscimento dello stato di rifugiati e, nell’attesa che questo percorso giunga a conclusione (può durare anche 18-20 mesi), sono stati suddivisi in gruppi di 2-4 persone e accolti in strutture parrocchiali diffuse nella Diocesi.
Anche per i migranti attualmente ospitati nell’appartamento, la Caritas ha avviato le pratiche per il riconoscimento dello stato di rifugiato, ma al momento non sono disponibili altri centri parrocchiali che li accolgano e quindi dovranno probabilmente prolungare la loro permanenza nella nostra Parrocchia.
Couly e gli altri sanno che molti di loro si vedranno respingere la domanda d’asilo.
Qualcuno di questi ragazzi è entrato nelle nostre case, molti di loro sono entrati nei nostri pensieri e nei nostri cuori.
Alessandra e Pier Paolo